Quando si torna dalla missione solitamente si viene bersagliati da moltissime domande come “Com'è andata in Kenya? Cos'è stato il Kenya per te? Cosa hai provato in Kenya?” ... E uno, ancora un po' spaesato, prova a rimettere insieme emozioni e momenti vissuti per tradurli in racconti e parole comprensibili a chi là non c’è stato.
La mia esperienza è partita, se vogliamo, in salita: infatti, poco dopo essere arrivata a Nakuru, sono stata colpita da un'infezione batterica che mi ha bloccata a letto quasi una settimana. Si è aggiunto poi un bel mal di schiena, che pareva volermi dire "o ti fermi tu o ti fermo io". Mi trovavo dall’altra parte del mondo, nel posto in cui avevo sempre desiderato essere e tuttavia ero terribilmente provata e bloccata dalla salute. Che rabbia! Ma è in quella frustrazione che mi sono riscoperta umana! Questo in definitiva è stato il primo grande insegnamento del Kenya: fermarsi e ripartire più carichi di prima. Fermarsi e ricominciare. Fermarsi e crescere!
Spesso quando si parla dell'Africa si ha la presunzione di "andare a insegnare", pensando di poter cambiare le cose, la loro cultura, le persone. E invece, anche questa volta siamo noi a tornare con una valigia piena.
La semplicità del fermarsi e stare seduti a terra senza far niente, la tenace volontà di creare una nuova occasione di vita, la dignità del crescere ancora prima di essere adulti, la capacità di sorridere con gli occhi nonostante tutto...sono quei ragazzi e quelle ragazze a insegnarci a vivere e non il contrario!
Noi cosa possiamo fare? Semplicemente sederci con loro e condividere la quotidianità! Lasciarci educare ai valori più profondi. Possiamo pregare, fare il pane, pulire i fagioli, tagliare i sukumawiki, raccogliere il mais, fare i compiti...non importa. La cosa più bella che noi possiamo fare è semplicemente allungare la mano, aprire il cuore e camminare insieme. Il resto viene completamente da sè. Avere l'umiltà di essere noi stessi non è così facile, ma solo così possiamo sentirci effettivamente parte del gioco. Solo riconoscendo le nostre stesse rigidità e le nostre fragilità possiamo accogliere "le perle" che incontriamo.
Gli sguardi, gli occhi e i sorrisi non mentono. E quegli sguardi, quegli occhi e quei sorrisi restano sottopelle, talmente profondamente che infiammano l’esistenza.
.jpg)
Spesso quando si parla dell'Africa si ha la presunzione di "andare a insegnare", pensando di poter cambiare le cose, la loro cultura, le persone. E invece, anche questa volta siamo noi a tornare con una valigia piena.
La semplicità del fermarsi e stare seduti a terra senza far niente, la tenace volontà di creare una nuova occasione di vita, la dignità del crescere ancora prima di essere adulti, la capacità di sorridere con gli occhi nonostante tutto...sono quei ragazzi e quelle ragazze a insegnarci a vivere e non il contrario!
Noi cosa possiamo fare? Semplicemente sederci con loro e condividere la quotidianità! Lasciarci educare ai valori più profondi. Possiamo pregare, fare il pane, pulire i fagioli, tagliare i sukumawiki, raccogliere il mais, fare i compiti...non importa. La cosa più bella che noi possiamo fare è semplicemente allungare la mano, aprire il cuore e camminare insieme. Il resto viene completamente da sè. Avere l'umiltà di essere noi stessi non è così facile, ma solo così possiamo sentirci effettivamente parte del gioco. Solo riconoscendo le nostre stesse rigidità e le nostre fragilità possiamo accogliere "le perle" che incontriamo.
Gli sguardi, gli occhi e i sorrisi non mentono. E quegli sguardi, quegli occhi e quei sorrisi restano sottopelle, talmente profondamente che infiammano l’esistenza.